Bourbon: il whiskey americano

Parlare di whiskey americano è complesso: si è dinnanzi a una nazione molto importante dal punto di vista produttivo e dalle molteplici sfumature di prodotti proposti al resto del mondo. Che sia bourbon, rye whiskey, Tennessee whiskey o proveniente da micro distillerie pressoché artigianali, il whiskey americano è legato culturalmente al Proibizionismo, ad Al Capone, agli speak-easy e alle migliaia di film dove gli attori buttano giù ampi sorsi di whiskey ambrato, quasi certamente dall’ampio tumbler, dal peso specifico notevole. Queste leggende sono vere in minima parte: se è vero che il whiskey americano ha visto la luce dopo il Proibizionismo, è altresì vero che quel periodo storico ha registrato l’ampliamento dei consumi di prodotto canadese, nazione che solo recentemente ha dovuto abbandonare lo scettro di prima nazione di distillati consumati negli Stati Uniti.

La legislazione statunitense è piuttosto restrittiva e viene definita dall’ente governativo TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau) al quale tocca, per dirne una, approvare o rifiutare le etichette proposte dalle aziende, che siano americane o estere. Le leggi degli Stati Uniti prevedono alcune regole obbligatorie: il whiskey deve provenire da cereali, il prodotto distillato non deve superare i 95 gradi alcolici ed essere venduto ad almeno 40 gradi. La botte deve essere riempita con distillato al massimo di 62,5 gradi. Ricordiamo inoltre che sulle bottiglie americane è riportato un numero relativo ai gradi alcolici espresso in Alcohol Proof, che equivale al doppio dell’ABV europeo e mondiale. Per essere definito di provenienza da un determinato cereale (segale o mais o grano), questo cereale deve raggiungere il 51% del cereale fermentato prima della distillazione, il cosiddetto mash. Un rye whiskey, dunque, avrà almeno il 51% di segale nella propria ricetta pre-distillazione. Il distillato deve essere messo in contenitori di rovere nuovi e carbonizzati. Questa è forse la differenza più grande tra i prodotti americani e quelli del resto del mondo. Mentre in Scozia il legno vergine è molto poco usato perché molto attivo e quindi marcante sul distillato, negli Stati Uniti è esattamente il contrario: la quercia usata va buttata o venduta. Questo, se da un lato ha favorito il resto del mondo con botti di quercia ex-bourbon sempre disponibili, va a connotare il whiskey americano con precise note dolci che ogni appassionato conosce alla perfezione e che rimangono pressoché invariate negli anni. Le botti usate possono essere adoperate una seconda volta ma il whiskey non potrà più essere chiamato bourbon; nel caso del whiskey di mais, il corn whiskey, le botti usate possono essere sfruttate affinchè emerga il carattere del cereale e non della botte.

Il limite minimo di invecchiamento è di due anni; dopo questo periodo il whiskey può essere commercializzato. Dai quattro anni in avanti non è più obbligatorio indicare l’età in bottiglia. I prodotti con almeno due anni di età possono essere chiamati straight whiskey a cui è apposta la dicitura del cereale utilizzato nel mash. E’ consentita l’aggiunta di altre sostanze (spezie, caramello, etc.) ma tutto ciò che viene aggiunto deve essere esplicitato in etichetta. L’utilizzo di legno vergine è con tutta probabilità la causa della quasi totale assenza di whiskey americani molto invecchiati: arrivare a 15, 20 o 25 anni di invecchiamento è praticamente impossibile in quanto il legno molto attivo andrebbe a connotare con sempre maggior forza il distillato. La media dell’età è piuttosto bassa se confrontata a quella di Scozia, Irlanda o Giappone.

Le botti vengono immagazzinate nelle cosiddette rickhouses (rick è la struttura in legno che sostiene le botti). I magazzini hanno spesso molti piani e l’escursione termica è differente tra livelli: le botti più in alto sostengono una temperatura maggiore e dunque un invecchiamento più veloce. Non è inusuale, altresì, trovare magazzini riscaldati nel periodo invernale, con i termostati fissati su una determinata temperatura da mantenere. Esistono diverse tipologie di magazzino a seconda della struttura, del materiale di costruzione, del sistema di stoccaggio e, ovviamente, della posizione geografica: tutti fattori che i produttori conoscono bene e che cercano di sfruttare al meglio per garantire un prodotto ottimo.

Una classificazione ulteriore che però vanta il prodotto più venduto al mondo è relativa al Tennessee Whiskey: stiamo parlando di Jack Daniel’s e di George Dickel. Entrambi producono spirito che passa attraverso un sistema di filtraggio a carbone, il cosiddetto mellowing. Questo procedimento viene anche chiamato Lincoln County Process e va a purificare lo spirito, un vero e proprio filtraggio ormai entrato nell’immaginario di molti consumatori.

Parallelamente, vicino ai colossi come Jack Daniel’s, Jim Beam e altri, esistono numerosi micro-produttori, alcuni dei quali considerabili come artigianali per la quantità di prodotto molto bassa e per i procedimenti produttivi seguiti direttamente dal personale. In Europa questi prodotti sono estremamente rari ma raccontano tanto degli Stati Uniti, del sogno americano di produrre un whiskey secondo le proprie intenzioni, i propri obiettivi e i propri gusti.

Brevemente, proviamo ad elencare alcuni produttori che dovrebbero aiutare nella comprensione di questo Paese. Evitiamo di dare giudizi tecnici per il momento: sarà il vostro gusto a stabilire i più interessanti.

  • Jack Daniel’s: oltre al classico Old n.7, vero e proprio simbolo, nel core range si trova anche il Single Barrel, un modo unico e piuttosto economico di conoscere questa distilleria.
  • Michter’s: una gamma ristretta, ma che va a coprire svariate sfumature di bourbon.
  • Buffalo Trace: il bourbon base offre un rapporto qualità/prezzo interessante. Proseguendo, la serie Blanton’s è formata da botti singole e gradazione importante, sempre di buona qualità.
  • Balcones: piccola distilleria artigianale, vari prodotti in grado di soddisfare molte curiosità.
  • Maker’s Mark: anche qui, partendo dal prodotto base fino ad arrivare ai Single Barrel, un’ampia gamma di sensazioni.
  • Bulleit: direttamente dal Kentucky, uno dei pochi a produrre un 10 Anni di invecchiamento.

“Noi facciamo ottimo bourbon; se possiamo con un guadagno, se dobbiamo con una perdita, ma sempre ottimo bourbon”. Questa massima è di Julian Van Winkle, un nome molto noto nell’ambiente non solo del bourbon ma di tutto il mondo, principalmente perché i prodotti con il suo marchio sono molto ricercati da tutti i collezionisti e gli appassionati. A lui è stata dedicata una linea di sigari prodotti da Drew Estate e composta da diversi formati.

Dopo una vita nel commercio di whiskey, “Pappy” decide di aprire una distilleria propria e produce vari distillati fino al 1965, anno della morte. La distilleria viene venduta ma il figlio Julian si accaparra qualche migliaio di botti distillate dal padre e decide di commercializzarne una parte con il marchio Old Rip Van Winkle. Queste bottiglie sono peculiari, sia oggi sia per l’epoca: le età di invecchiamento sono importanti, dai 10 anni fino ai 23; un vero e proprio unicum in un periodo difficile per il bourbon, messo a dura prova dalle importazioni di scotch e cognac, molto più in voga tra i consumatori statunitensi. Nel nuovo millenio le bottiglie acquistano valore collezionistico in virtù della rarità, dei punteggi elevati in varie competizioni e, cosa da non sottovalutare, della qualità del bourbon. Nel 2002 la distilleria passa nelle mani del colosso Buffalo Trace: da questo momento le bottiglie di Van Winkle saranno una miscela di distillato dalla famiglia e distillato Buffalo Trace; dal 2010 in poi la produzione passa interamente nelle mani di Buffalo Trace.

Le bottiglie disponibili sono ben poche, divise in Old Rip Van Winkle 10 Anni, Van Winkle Special Reserve 12 Anni, Pappy Van Winkle Family Reserve 15 Anni, 20 Anni, 23 Anni e Van Winkle Family Reserve Rye 13 Anni. Le quotazioni superano il migliaio di euro/dollari con il 23 anni in costante aumento. Le bottiglie sono estremamente rare: la possibilità di accaparrarsi una di queste bottiglie e, magari, degustarne il contenuto, è esigua.

Gli Stati Uniti producono un’incredibile varietà di prodotti e soffermarsi su questo Paese è una tappa obbligatoria per qualsiasi appassionato. Partendo dai prodotti base, largamente reperibili in qualsiasi supermercato, ci si può spostare su prodotti di fascia media in grado di rivelare molte sfumature non solo del prodotto ma anche di chi si occupa di tramandare una storia di distillazione lunga e costantemente in evoluzione.