Dopo settimane di tam tam sui social media, a mezzo dei quali si chiedeva sostegno per il Nicaragua afflitto da tumulti e sommosse popolari, la terra dei Vulcani sembrerebbe aver raggiunto una tregua lo scorso 16 giugno.
Lo scenario sociale e politico
Dopo il 1979, anno della cacciata del dittatore Anastasio Somoza, furono i Sandinisti a guidare politicamente la nazione fino al 1990. Fra loro spiccava la figura di Daniel Ortega che ricoprì il ruolo di Presidente nicaraguense dal 1985 al 1990, anno in cui l’Unión nacional opositora, un fronte conservatore, vinse le elezioni. Tuttavia, dopo tre sconfitte elettorali, Ortega nel 2007 vinse le elezioni e da allora è rimasto al vertice politico. In questi anni di governo, però, sembrerebbe che la guida del Nicaragua non sia stata più illuminata dagli ideali sandinisti, quanto da una affermazione sempre più marcata di una oligarchia accentrata nelle mani di Ortega, della moglie Rosario Murillo (nominata vice presidente) e dei figli, e di una stretta cerchia di ministri. Alla lunga, come ben si può immaginare, questa situazione ha fagocitato sempre più spazi democratici ed equilibri politici.
La miccia del 19 aprile
In un tale contesto socio-politico, l’annunciato programma di tagli ai programmi previdenziali e alla sicurezza pubblica del 19 aprile scorso è diventato la miccia che ha dato fuoco ad una polveriera di risentimento verso la Presidenza e oppressione sociale che da troppo tempo non aveva modo di manifestarsi. Difatti le proteste si sono perpetrate anche dopo il ritiro della riforma. La voce della protesta si è elevata dagli studenti universitari, che sono diventati subito i trascinatori e gli amplificatori di un sentimento di riscatto sociale ma soprattutto di maggiore libertà e giustizia. Molti sono stati i cortei pacifici e senza armi che dalla metà di aprile si sono svolti nelle maggiori città Nicaraguensi (la capitale Managua, Granada e, in misura minore, anche Estelì). Tuttavia, nonostante le intenzioni pacifiche delle proteste, la repressione governativa (Amnesty International riporta testualmente di una “strategia repressiva nei confronti delle manifestazioni basata sull’uso eccessivo della forza, esecuzioni sommarie, controllo dei mezzi d’informazione e impiego di gruppi armati filo-governativi”), gruppi di paramilitari e facinorosi hanno trascinato il Nicaragua in una sanguinaria spirale di violenza: ad oggi si contano 170 morti, fra cui molti bambini, oltre 1000 feriti e un imprecisato numero di scomparsi.
Le proteste civili
Durante queste settimane il popolo ha protestato con ogni mezzo a sua disposizione, come ad esempio erigendo barricate improvvisate sulle strade (tranques) finalizzate a perquisire auto e persone, per evitare che venissero trasportate armi o viaggiassero gruppi paramilitari. Questi tranques hanno cominciato a rallentare di molto il trasporto delle merci su gomma (arrivando a bloccare anche la Pan-American Highway), sino alla prima settimana di giugno, periodo nel quale sono cominciati a scarseggiare carburanti e beni di prima necessità (carne, frutta e ortaggi, uova). A ciò aggiungasi, come in tutte le proteste civili protratte per più giorni, che nelle città, piombate nell’anarchia, si sono registrati atti di sciacallaggio e caos, tanto da indurre i negozianti ad una chiusura preventiva delle attività commerciali o a barricarsi all’interno per evitare furti.
Gli ultimi 4 giorni (13-16 giugno)
Atteso il rapido peggioramento della situazione, la Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica Nicaraguense si è resa promotrice e, al tempo stesso mediatrice, di una “Mesa Plenaria di Dialogo Nacional” con il presidente Ortega. Difatti, mercoledì 13 veniva diramato un comunicato stampa con il quale la Conferenza Episcopale convocava un “Tavolo di dialogo” per venerdì 15, all’interno del quale si sarebbero condivisi e resi pubblici i contenuti sia del documento inviato al Presidente della Repubblica sia della sua risposta.
Nel contempo, però, le forze di opposizione avevano già convocato, per giovedì 14, uno sciopero generale di 24 ore che ha paralizzato anche l’attività sui campi di tabacco e nelle manifatture. I proprietari dei più rinomati brand nicaraguensi hanno recepito con favore questa giornata di sciopero, mostrandosi particolarmente attenti alla sicurezza dei lavoratori.
A cavallo fra venerdì 15 e sabato 16 si giunge ad una tregua fra il Presidente Ortega e le forze di opposizione. Sulla base dell’accordo, sarà istituita una Commissione per la Verità e sarà consentito all’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani, alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani e a rappresentanti dell’Unione Europea di contribuire all’inchiesta che farà luce sui responsabili dei fatti di sangue di queste settimane. Il Presidente della Conferenza Episcopale, il cardinale Leopoldo Brenes, ha aggiunto di aver prospettato ad Ortega la possibilità di indire le elezioni generali con due anni di anticipo, cioè nel 2019. Tale richiesta non ha trovato accoglimento da parte del Presidente delle Repubblica il quale si è limitato a ribadire, laconicamente, “il desiderio di ascoltare tutte le proposte che rientrano in un quadro istituzionale e costituzionale“.
Troppo presto per domandarsi quanto durerà questa quiete e a cosa porterà nel prossimo futuro. Nel frattempo vi rimandiamo al numero Estivo di Cigarslover Magazine (online a partire dal 3 luglio prossimo) per raccontarvi meglio come questi mesi hanno condizionato o rallentano la produzione di sigari e tutta la filiera tabacalera e il clima che si respirava in fabbrica, dando voce ai produttori.